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Abbiamo l’Afflato Corto
Dello schianto delle nostre aspirazioni pre-Quarantena. E del rumore che fa.
È durata poco, la luna di miele ideologica post-Pandemia. Quella follemente propositiva, in cui immaginavamo, malauguratamente troppo spesso dal nostro divano, di poter costruire un mondo nuovo, più giusto, più sostenibile, capace di esprimere il meglio di noi come singoli e come collettività.
Alla fine del primo lockdown — perché è chiaro che per come sono state disegnate le regole dei grandi compromessi e dei piccoli cabotaggi all’italiana, non sarà l’ultimo: chiamatemi pure uccello del malaugurio — ci ritroviamo con lo stesso mondo di prima, di cui già eravamo almeno parzialmente insoddisfatti, solo enormemente più brutto.
Pieno di gente in giro, tutti con la mascherina (lo so, è giusto così, ma io non mi sono ancora abituato, mi sembra ancora un film dalla sceneggiatura mediocre), code di un’ora e mezzo al supermercato anche se hai finito il bagnoschiuma, metti-i-guanti-togli-i-guanti, ristoranti aperti ma con regole improbabili, e dunque probabilmente semivuoti, tutti con meno soldi da spendere, e certezze riguardo al futuro necessarie per tornare a farlo, frontiere aperte ma con controlli negli aeroporti ancora più assurdi dell’immediato post-11 settembre (le fobie si stratificano, non si annullano vicendevolmente); niente abbracci, o comunque ogni abbraccio, ogni stretta di mano, un senso di colpa.