5 Ragioni per cui l’Indonesia è l’Economia più Promettente d’Asia
Quando mi chiedono dove investire i miei 50 cents in Asia, dico sempre un Paese: l’Indonesia. Perché? Ecco i miei 5 motivi.
In Asia non è difficile trovare economie in crescita: lo sono praticamente tutte quelle in via di sviluppo, e con ritmi molto sostenuti. I nomi che si fanno più spesso sono quelli di Vietnam — dove i cinesi ormai sono soliti delocalizzare la produzione-, Myanmar e Indonesia. In particolare, la mia fissa è proprio quest’ultima, Paese dalle immense potenzialità che stanno emergendo in maniera sempre più evidente negli ultimi anni. Qui sintetizzo le 5 ragioni principali per cui l’Indonesia è la scommessa migliore che possiate fare in Asia.
1. La Demografia: 250 Milioni di persone (il più grande Paese musulmano al mondo, anche se pochi lo sanno), un’età media bassissima, e una classe media che aumenta di milioni di unità all’anno, insieme a un’urbanizzazione che ha recentemente superato la soglia del 50%, rendono questo Paese un’economia con caratteristiche uniche, anche in Asia. Le preoccupazioni sono legate alla radicalizzazione dell’Islam, storicamente sempre piuttosto moderato, specialmente in alcune zone del Paese (Sumatra in primis).
2. Stabilità Politica: gli indonesiani hanno espresso un Presidente, Joko Widodo detto ‘Jokowi’ (anche noto come l’Obama d’Indonesia) tra i più progressisti dell’area, con una visione precisa del Paese, costruita sulla base di una lotta senza quartiere alla corruzione e un piano di sviluppo infrastrutturale molto ambizioso. Le prossime imminenti elezioni diranno molto della strada che il Paese vorrà prendere (anche qui, ci sono preoccupazioni legate ai partiti più vicini all’Islam radicale)
3. Risorse naturali: Nessun altro Paese al mondo può godere della generosità orografica dell’Indonesia. Il Paese è costellato dei minerali più ricercati, e ospita alcune tra le miniere più grandi al mondo di rame, oro e altri metalli preziosi. Recentemente, sotto il governo Jokowi, il Paese ha anche rivendicato una maggiore ricaduta economica in quanto a diritti di sfruttamento delle miniere, come quella di Grasberg, nella Papua occidentale, controllata dalla statunitense Freeport.
4. Un DNA social: anche grazie all’età media molto bassa della popolazione, e nonostante i problemi di connessione in alcune aree più remote del Paese, l’Indonesia vanta uno degli utilizzi più alti al mondo di social media, da Twitter a Instagram. Un mercato enorme da andare a prendere.
5. È bellissima: ok, non è un dato oggettivo, lo so. Ma dove altro trovate un Paese che “galleggia” su 19.000 isole, la metà delle quali non ha ancora un nome? L’Indonesia è larga quanto gli Stati Uniti, ma con una logistica molto più complessa. Ciononostante, esprime alcune delle mete mondiali più note, come Bali e Lombok, e ha un potenziale inesplorato enorme che sono certo decollerà nei prossimi decenni.
Non solo opportunità: anche problemi. E molto grossi
Non tutto però è rose e fiori. L’Indonesia è il secondo responsabile al mondo dell’inquinamento da plastiche degli oceani, dopo la Cina. La capitale, Jakarta, è una delle città più inquinate al mondo, e sta sprofondando di svariati centimetri all’anno sotto il peso del cemento dei suoi grattacieli. In generale, sul lato della sensibilizzazione c’è ancora moltissimo da fare, anche nelle aree metropolitane, dove in pochi percepiscono le problematiche relative all’utilizzo e allo smaltimento delle plastiche.
Una delle ultime volte che mi sono recato a Jakarta, in una gita alle “One Thousand Islands”, l’arcipelago appena fuori dalla capitale, lo speed boat si è dovuto fermare 7 volte per problemi all’elica dovuti alle plastiche che galleggiavano. Anche fare surf a Bali in alcuni periodi dell’anno è un’esperienza orribile, e non dico solo per l’afflusso di australiani ubriachi nelle discoteche del centro. Purtroppo, nonostante il loro detto locale “Semua bisa di atur”, non proprio tutto si aggiusta…
Indonesia “ecc.”
Una lettura molto consigliata a chi voglia approfondire questo intrigante Paese è “Indonesia ecc.”, che muove dall’aneddoto piuttosto divertente della stesura della Costituzione quando il Paese divenne indipendente, nel ’45, e che nella fretta in alcuni punti tira via i dettagli sostituendoli con degli “ecc” o con locuzioni come “definiremo al più presto questo punto”.
Rapporto Gini — lusso: brutto da dire, ma è così.
Il mercato indonesiano è tra i più interessanti sia per il settore furniture (alcune delle ville più belle della mia vita le ho viste qui) che per il real estate. I terreni costano molto poco, e quindi per i grandi ricchi è possibile investire molto sugli interni, nonostante i dazi doganali sia piuttosto elevati in quasi tutti i settori merceologici. È la terribile legge del coefficiente Gini: laddove più c’è disparità, maggiori sono le opportunità commerciali nel settore del lusso. Una regola che noi italiani abbiamo esperito spesso.
Avete un Paese particolare in Asia che vi interessa e di cui volete sapere di più? Scrivetemelo nei commenti, e sarò felice di dedicargli un focus presto.
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